Recensione di “Drive-in — La trilogia”, di Joe R. Lansdale

9788806211981_0_0_764_75Titolo: Drive-in — La trilogia
Autore: Joe R. Lansdale
Editore: Einaudi
Genere: horror
Pagine: 539
Prezzo: 8,99 € (ebook) — 17,00 € (cartaceo)

Sinossi: Immaginate il più grande drive-in mai esistito: l’Orbit. Siamo in Texas, è un venerdì sera e l’Orbit è stipato di gente che sgomita per popcorn e coca-cola, pregustando la Grande Nottata Horror. Ma sul più bello, il drive-in stesso si trasforma in un film dell’orrore: gli spettatori diventano gli involontari ed esterrefatti protagonisti di un incubo orchestrato dal mostruoso Re del Popcorn, sintesi delle peggiori conseguenze dell’ossessione al consumo. E se in “Drive-in 2” vediamo i personaggi sopravvissuti aggirarsi in un paesaggio irriconoscibile, “La notte del drive-in 3” ci catapulterà definitivamente in un microcosmo ancora più delirante, un mondo di misteriose e inclassificabili meraviglie, in cui ci si imbatte in inondazioni di proporzioni bibliche, in un pesce gatto che aspira a ingoiarsi la balena di Giona e in una schiera di creature oscure, di una malvagità paragonabile solo a quella dell’essere umano al suo peggio.

Non sono un’amante delle trilogie, per svariati motivi. Tuttavia, una chance a Lansdale l’ho voluta dare e sono incappata in tre titoli agli antipodi tra loro, per questo li analizzerò e valuterò separatamente.

Il drive-in: è il primo romanzo della trilogia e presenta una narrazione fluida come l’acqua di fonte (o meglio, come una Coca-Cola ghiacciata), è piuttosto coinvolgente ed è strutturato in maniera pressoché lineare. La trama c’è, l’intreccio è buono e ci sono dei veri e propri colpi di genio da parte di Lansdale, che fa tuffare il lettore in un vortice di delirio, buio e violenza. Lo stile è quello di Lansdale, sporco, graffiante, senza sconti né edulcorazioni e comunque capace di divertire. I dialoghi non sono troppo coerenti coi personaggi né con l’ambientazione texana, e proprio i personaggi non riescono a emergere come dovrebbero: la base psicologica c’è, tuttavia non è abbastanza approfondita e questo rende gli eroi dello scritto bidimensionali. Ottima, invece, l’ambientazione e le descrizioni, rese magistralmente con pochi tocchi di penna.

Una lettura per la quale non si può gridare al capolavoro, ma che risulta gradevole e non può mancare nel bagaglio culturale degli appassionati del genere. Inoltre, Lansdale fa centro anche sotto l’aspetto sociale: tra violenze, turpiloqui e orrori, emerge la denuncia contro una società sempre più consumistica (junk food e film di serie B) nonché contro l’imbrigliamento mentale causato dalle religioni.

Lettura consigliata (ma non ai deboli di stomaco).

Valutazione: tre stelle e mezzo.


Il drive-in 2: è il secondo romanzo della trilogia e anche in questo caso la narrazione risulta scorrevole, meno coinvolgente della prima ma comunque accattivante. Il romanzo non è affatto lineare, infatti si snoda su due piani temporali differenti, resi dall’autore tramite la narrazione degli eventi di alcuni dei protagonisti dell’opera. Ho trovato molto buone le ambientazioni e anche in questo secondo titolo sono presenti dei guizzi narrativi geniali che, uniti allo stile “cattivo” tipico dell’autore, reggono l’intero scritto. Cosa non va, dunque? Come per il primo romanzo, i personaggi non possiedono una vera e propria profondità psicologica e lo stesso vale per i dialoghi, non sempre coerenti con il soggetto parlante, tuttavia è il male minore. Il problema enorme di questo prodotto è la trama che, semplicemente, non esiste: in pratica – ricordi a parte – l’intero scritto è riassumibile in poche righe. Il finale è frettoloso e Lansdale non riesce a trasmettere né drammaticità né epicità alla chiusura di quello che doveva essere un dittico di caustica denuncia.

Una lettura che, a mio avviso, lascia il tempo che trova. Si può leggere, pur senza grandi aspettative. Peccato, perché l’autore aveva tutte le carte in regola per una conclusione col botto, possibilità sprecata in virtù di una porta aperta verso un seguito (che arriverà quasi vent’anni dopo) e di una storia raffazzonata forse per mancanza di energie o idee.

Valutazione: due stelle e mezzo.


La notte del drive-in 3: è il terzo e ultimo romanzo della trilogia, scritto a ben diciassette anni da Il drive-in 2. Purtroppo, questo è il titolo peggiore sotto ogni aspetto, a parte le ambientazioni, che le ho trovate sufficientemente surreali e vivide, con il buio e l’acqua a farla da padroni e resi con la giusta potenza in grado di turbare il lettore. Come già il prequel, il suo svolgimento non è lineare, inframmezzato dagli appunti di Jack e dai flashback sotto forma di racconto da parte di alcuni protagonisti del romanzo. Una trama, tra l’altro, c’è e risulterebbe pure carina (ho adorato la trasposizione della storia di Giona nella pancia della balena in versione horror), se non fosse per un finale che, di nuovo, non è un finale e lascia aperti tutti gli interrogativi che i lettori si portano dietro fin dal primo romanzo; inoltre, la conclusione, pur volendo accettarla per quello che è, ha dell’assurdo ed è troppo campata in aria persino per degli scritti tanto visionari come quelli che compongono l’intera trilogia.

Ma a parte questo, cos’altro non va? Lo stile, in primis: qui del vecchio Lansdale non troviamo nulla, solo una marea di turpiloqui inseriti tanto per riempire le pagine, ripetizioni iperboliche e stucchevoli (che si mangia la carne umana l’abbiamo capito già dal primo libro, non è necessario ripeterlo due volte ogni pagina…), una componente morbosa rivolta a organi sessuali e feci (specifico: non si tratta di moralismo né di essere schizzinosa, è che dopo duecento pagine infarcite di “cazzo” e “merda” – termini realmente presenti – la cosa va abbastanza a noia). I personaggi hanno perso, se possibile, anche quel poco spessore psicologico (Grace a parte); uno dei protagonisti dei primi due libri (Bob) è sparito, così, come per magia, senza spiegazione alcuna (è morto? è scomparso? che diavolo è successo?). L’idea geniale che accompagna il lettore all’epilogo (ed è bella davvero) viene buttata via in un finale che ha ben poco di savio.

Mi dispiace, ma stavolta no, non ne consiglio affatto la lettura

Valutazione: due stelle.


Conclusione generale: La raccolta poteva essere interessante se l’autore si fosse fermato ai primi due titoli. Il terzo, purtroppo, ha abbassato notevolmente la media e ha il retrogusto amaro di una trovata commerciale (“spremiamo le storie sino all’osso, tanto la gente le compra”). I dialoghi non sono in generis convincenti: personaggi di bassa cultura che parlano come professori universitari e professori universitari che parlano come agricoltori. La poca coerenza dei discorsi diretti, inoltre, è iperbolizzata da una traduzione in “doppiaggese” che in ambito narrativo è davvero da rifuggire (“maledettamente” e “dannatamente” sparsi a piene mani sono due dei tanti lemmi che infestano le pagine). Ultima osservazione, la traduzione pessima: già dalle prime due pagine di narrazione, incappiamo in un grandioso “sorriso sbronzo di un gatto del Cheshire” (nell’originale: “drunk smile of a Cheshire cat”), che vorrebbe la traduzione “sorriso sbronzo a trentadue denti” o “sorriso sbronzo da orecchio a orecchio” (questo particolare mi è subito saltato all’occhio perché è un modo di dire che ho sentito spesso e volentieri da amici oltreoceano).

È stata una delle letture che, pur essendo abbastanza scorrevole sotto l’ottica stilistica, ho faticato di più per finire. Peccato, ripeto ancora una volta, perché il primo è un romanzo che vale davvero tutta la fama che ha. A mio discapito, aggiungo: non ditemi che le storie splatterpunk devono solo disgustare e presentare quantitativi immani di viscere e violenza estrema; certo, questi particolari non devono mancare, ma assieme a essi serve una storia, una struttura logica e una coerenza narrativa che io, qui, non ho rinvenuto

Valutazione generale: due stelle e mezzo (non riesco a concepire di dare di meno a Lansdale).


Estratto: È il genere di cosa che quando ti capita fai fatica a credere che il vecchio Gesù potesse perdonarla tanto facilmente.
Fa male.
Fossi stato g.c., sarei tornato dal regno dei morti più incazzato di un tasso con le balle in fiamme, e non ci sarebbero state tante stronzate di pace-e-amore, né avrei pensato a stupidaggini tipo cambiare l’acqua in vino o moltiplicare pani e pesci. Mi sarei fatto grande come l’universo, mi sarei fatto due mattoni delle dimensioni giuste, avrei sistemato il mondo fra i mattoni, e wham, una bella poltiglia.
Non sono il tipo giusto come messia. Ho un brutto carattere.
Almeno, ce l’ho adesso.


Valutazione: tre due stelle e mezzo (non riesco a concepire di dare di meno a Lansdale)

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